martedì 18 dicembre 2018

Gli insegnamenti della lucertola

C'era una volta un bambino che prendeva le lucertole.
Sapeva come fare.
Le osservava, lo affascinava l'aspetto di coccodrillo in miniatura, spalancava giungle di fantasia nella mente.
Stringe forte il dito, il morso della lucertola. Senza denti, senza tagliare. Si lasciava mordere le dita dalla bestiolina catturata, il bimbo. Sopportava quel poco dolore senza opporsi.
Era giusto. Era il prezzo da pagare per aver loro tolto la libertà.
Dopo alcuni istanti, vinte dall'inutilità del loro mordere, le lucertole mollavano la presa. Carezzandole sulla testa, solo allora, il bimbo le conquistava davvero.
Quel corpicino freddo, quegli occhi di serpente, sembravano riempirsi di un senso nuovo di vita. Quella piccola carezza con la punta di un dito era la manifestazione di un affetto che forse mai e mai più ci sarebbe stato, dall'uovo al letto di foglie marce dove andare a morire.

La natura è così. Non fa smancerie. Ma basta un raggio di sole su una pietra per sentirsi onnipotente.

Questo, e tanti altri, gli insegnamenti della Lucertola, tenuta su un braccio, in una mano, su una pietra dentro una tinozza azzurra, atollo in una barriera corallina. I microscopici artigli delle lunghe filiformi dita aggrappati come velcro ai pori della pelle nel radioso mattino di un Agosto d'infanzia.
Alle pendici del monte del Tempo, che sarebbe stato l'età adulta. Con tutto il carico di uno zaino ancora da farsi, ancora vuoto.
La mente, Una,
reattiva,
entusiasta,
selva di possibilità indeterminate,
gravida,
caleidoscopio intenso di sensazioni.


Quel bambino che c'era una volta e adesso non c'è più, sono io. Pare strano, ma abita dentro di me. Sopravvive. Dovrei trattarlo meglio, dare nutrimento ancora alla sua sconfinata, sconfinata capacità di stupirsi. Ma così non è. Come un gesto automatico lo considero presenza talvolta ingombrante, quando tira calci nel buio per il troppo avermi atteso, per la mia adulta, superba, indifferenza.
Ho un sacco di cose da fare. Sono un adulto come tanti.
Ho tradito la promessa, micidiale, di essere me stesso, sempre.
Ho tolto valore al mio cuore e l'ho messo nelle cose. Oggetti, senza vita. Come ho potuto sbagliare?
Perchè di errore si è trattato, senza dubbio, anche se un errore così comune, così consueto, da farcelo apparire inevitabile: un binario, una strada segnata.
E così umanità intere, generazioni di esseri viventi, tiepidi virgulti di homo sapiens morbidi e lattei, curiosi, amorevoli, si trovano a crescere sul binario e a poco a poco, non sanno come, vanno tutti nella stessa direzione.
Incominciano ad odiarsi, disprezzarsi l'un l'altro per futili motivi. A sputar veleno dalle fauci ben presto, all'alba delle prime frustrazioni.
Siamo su quel binario maledetto che sembra non dar scampo a chi si tira fuori.
Come falene andiam verso la luce sfavillante senza saperne il senso.
E in questo viaggio siamo numeri,
numeri soltanto,
non più il nome nostro
che l'Amore di un padre e di una madre ci ha donato.
E gli altri sono numeri per noi, fredda moneta.

C'è stato un tempo in cui pensavo forse di poter scaldare il cuore con un tocco a tali mostri, come con la lucertola facevo, da bambino.

Persino lei, giurassica,
dai recessi primordiali del suo antico sentire
mi restituiva, sottile
una vibrazione di amore.

Enrico